In mostra a Ulassai la magia del pane quotidiano nelle opere di Maria Lai
Prima di visitare la mostra “Maria Lai. Pane quotidiano”, allestita nei locali rimessi a nuovo della Stazione dell’Arte di Ulassai, non immaginavo con quanta complessità il lavoro dell’artista ogliastrina fosse legato a questo antico alimento e all’arcaica ritualità di gesti che da secoli ne accompagnano la produzione.
Il pane in Sardegna è stato da sempre visto non solo come semplice nutrimento ma anche e soprattutto come detentore di significati e simbologie, espressione di saperi, saper fare e tradizioni connesse ai momenti più significativi della vita dell’uomo: la nascita, la morte, le feste, il lavoro, la fede.
Maria Lai, che ammise di aver frequentato la sua prima accademia tra le mura domestiche, quando ancora bambina osservava le donne che impastavano il pane, ha subìto e, successivamente reinterpretato, il fascino della panificazione traducendolo in opere di incredibile bellezza.
La mostra
La mia prima accademia l’ho frequentata con le donne che facevano il pane a casa mia. Era bellissimo
“Maria Lai. Pane quotidiano”, a cura di Davide Mariani, è una mostra elegante e raffinata che ha inaugurato il 25 aprile e resterà visitabile fino al 9 giugno 2019.
Attraverso una selezione di oltre trenta lavori, molti dei quali inediti, rappresenta il frutto di un’attenta attività di ricerca che ha permesso di ricomporre le tessere invisibili di un mosaico che l’artista ha realizzato negli anni, seguendo il filo rosso della panificazione riproposta ogni volta con modalità mai scontate e sempre originali.
Varcata la soglia della vecchia rimessa ferroviaria, riconvertita a museo d’arte contemporanea, ha inizio un vero e proprio viaggio nel tempo, con continui rimandi al passato, al presente e al futuro.
È la forza universale del pane, restituita dalle opere di Maria Lai, a prendere per mano lo spettatore.
Si parte dal suo capolavoro per antonomasia, Legarsi alla montagna del 1981, spettacolare esempio di arte relazionale ante litteram che, a dispetto di uno scetticismo diffuso in quegli anni, ha anticipato di almeno un decennio una tendenza oggi più che mai viva e diffusa.
Quel codice relazionale escogitato dalla comunità di Ulassai per far passare da una casa all’altra il nastro celeste che avrebbe legato il paese alla montagna rivive nel pane delle feste, finemente lavorato dalle abili mani delle donne del posto, che si cala dal soffitto, annodato a una striscia di stoffa originale utilizzata nell’81 e gelosamente custodita da alcuni membri della comunità.
Laddove vi è rancore il nastro passerà dritto. Se vi è amicizia si farà un nodo. Se vi è amore si intreccerà un pane
Questa iconica visione del pane, tenuto dal nastro azzurro su sfondo nero, certamente capace di stimolare forti emozioni nel visitatore è, in realtà, solamente l’anteprima di una ricca esposizione composta da fotografie in bianco e nero che ritraggono le donne mentre fanno il pane nella casa di Maria a Cardedu, alternate da sculture, disegni e altre chicche che la rendono davvero preziosa.
Le opere esposte
Molte delle opere in mostra non erano mai state esposte prima d’ora. Sono arrivate al museo dopo una vera e propria indagine sul campo, svolta bussando alle porte di chi per anni le ha conservate con tanta premura.
Dopo il 9 giugno questi lavori ritorneranno ai legittimi proprietari che li hanno concessi in prestito, ecco perché la mostra è un’occasione unica per ammirarle dal vivo, tutte insieme e soprattutto secondo una trama narrativa coerente.
Al primo piano la scena se la aggiudica decisamente la riproposizione di “Invito a tavola” (2004) che, come si legge nel comunicato stampa, fu realizzato in occasione della rassegna “Pitti Immagine Casa” a Firenze disponendo, su una maestosa tovaglia tessuta dalle artigiane della cooperativa Su Marmuri, una serie di pani e libri in terracotta, quasi a voler suggerire che «ogni opera d’arte deve diventare pane da offrire a una mensa comune».
Di straordinaria bellezza anche il lavoro che riprende il tema della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
A fare da cornice alle opere i bellissimi scatti di Virgilio Lai, Paola Pusceddu e Marianne Sin-Pfältzer, amica e instancabile seguace di Maria Lai
Ma quando uno pensa di aver visto tutto non può immaginare che il bello deve ancora arrivare.
Bisogna infatti salire al primo piano della rimessa per addentrarsi in un’altra dimensione, quella delle fiabe. È qui che va in scena “Cuore mio” di Salvatore Cambosu, attraverso una sequenza di opere e le parole dalla stessa Maria Lai, inquadrata in un video proiettato su una parete a tutto schermo e realizzato dal regista multimediale Francesco Casu, con un risultato puramente immersivo.
La fiaba di Cuore mio e di Maria Pietra
Cuore mio racconta la storia di un’artigiana del pane, Maria Pietra, che aveva un figlio chiamato Cuore mio a cui teneva più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Maria Pietra però possedeva anche un dono speciale, “era in dote di certe parole, ora perdute, che avevano il potere di legare (affascinare, privare della libertà) tutte le creature, e che era proibito adoperare, pena un terribile castigo”.
Successe che un giorno Cuore mio venne in punto di morte e, piangendo, iniziò a chiedere alla madre di ricevere tortore e colombe, lepri e cerbiatte vive che abitavano in contrade lontane.
Maria Pietra “temendo di perderlo, sfidò, e superò, l’altra paura, d’un terribile castigo, e ricorse alle parole proibite per accontentarlo”.
Fu così che le creature del bosco iniziarono ad arrivare al capezzale di Cuore mio, ma tutte, dopo un paio di giorni, morirono.
“Cuore mio ne pretendeva altre, sempre altre, e la madre, come drogata, continuamente gliele sostituiva. E venne il primo castigo: tutto fu inutile, Cuore mio morì”.
La sua scomparsa gettò Maria Pietra nella disperazione.
Questa povera madre affranta non faceva altro che piangere e con le sue lacrime impastava la farina e faceva tanti pupi di pane.
Un giorno le apparve un giovane bellissimo che le disse “Quasi non contenta dell’altro peccato, ora per colpa delle tue lacrime il tuo bambino è sempre triste, in mezzo a tanti e tanti altri bambini che sono sempre in festa”.
Ma Maria Pietra non riusciva a frenare le sue lacrime, scorrevano come fiumi.
“Acqua e acqua passerà sempre, Cuore mio, e tu quando potrai giocare? Il peccato è solo mio, esso ricada tutto sulla mia testa”.
A quel punto il messaggero le chiese: Hai dichiarato d’accettare che ricada tutto sopra di te?
Sì, subito disse e riprese a impastare il suo dolore.
“L’altro le sfiorò la testa con un gesto dolente: e all’istante la madre perdette le lacrime e si sentì legata, chiusa in una prigione di pietra; ma aveva fatto in tempo a sentire per un attimo, un attimo solo, lungo come l’eternità, una gioia fulminante: i piccoli animali, prima mesti e poi morti per colpa sua, ritornavano festosi alla selva, e Cuore mio già giocava nel giardino”.
Come recita il comunicato stampa:
l’artista, tramite un dialogo con Federica Di Castro, rintraccia le immagini metaforiche suggerite dalla narrazione che vedono “Maria Pietra” rappresentare l’artista, “la paura” la creatività, “la pietra” è l’arte, “il bambino” il malessere del mondo e “gli animali del bosco” i giochi per i bambini e le opere d’arte per gli adulti.
“Maria Lai. Pane quotidiano” è una mostra imperdibile, di rara bellezza e se andate a vederla non dimenticate di scrivermi le vostre opinioni.
P.s. per leggere la fiaba nella sua versione integrale, che in mostra Maria Lai racconta nel video, vi rimando al libro La pietra e la paura di Federica Di Castro e Maria Lai (2006), Edizioni Arte Duchamp, che potete acquistare anche nel bookshop della Stazione dell’Arte.
Maria Lai. Pane quotidiano
A cura di Davide Mariani
25/04/2019 – 9/06/2019
Stazione dell’Arte, Ulassai
Orari: lunedì – domenica 9:30 – 19:30
http://www.stazionedellarte.com
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