La sharing economy molto più di una tendenza
Negli ultimi anni una parola su tutte sta spopolando tanto nella vulgata comune quanto nei documenti di policy nazionali e internazionali: CON-DI-VI-DE-RE.
Condividere, declinabile in tanti modi e forme, equivale a dividere qualcosa con qualcuno, se sconosciuto meglio ancora. In inglese è più immediato si traduce con to share.
Per dirla tutta, in Europa, esiste una vera e propria economia della condivisione, la sharing economy, che soprattutto in seguito alla crisi economica del 2008 sta prendendo piede in maniera sempre più insistente.
L’economia della condivisione, che affonda le radici nello spirito cooperativo e solidaristico e che nelle imprese sociali ha trovato una valida espressione, si configura come la risposta dal basso ai bisogni della società postmoderna in maniera sostenibile e consapevole.
Banditi gli sprechi e le procedure troppo macchinose, rivalutato il concetto di riuso e riscoperta l’importanza delle relazioni umane, si va affermando una tendenza che è molto più di una moda, anche grazie e soprattutto agli sviluppi e alla diffusione delle nuove tecnologie. E qui i social network ci hanno messo lo zampino!
La stessa Commissione europea ne riconosce l’utilità, auspicandone la diffusione all’interno degli Stati membri, con un’apposita comunicazione al parlamento europeo del 2016 dal titolo emblematico, Un’agenda europea per l’economia collaborativa, in cui sottolinea come la sharing economy rappresenti un’opportunità per i consumatori e un modo per agevolare la transizione verso quella teorizzata “economia circolare”.
Ma cos’è la sharing economy nella pratica? Non è niente altro che condivisione di ciò che si possiede: la casa, la macchina, il cibo, la postazione di lavoro, un’idea ecc.
Sembra strano? Sono certo che mi capirete meglio se utilizzo termini come house sharing, crowdfunding, coworking, car sharing e quindi bla bla car, huber, airbnb, orti urbani, food sharing e dunque social eating 🙂

social eating
Il social eating: il cibo ai tempi dei social network
Tra le modalità espressive con cui la sharing economy si manifesta, il social eating è una di quelle che sta trovando maggiore diffusione, soprattutto in paesi come Italia, Francia e Spagna.
Tradotto significa “mangiare sociale” e rappresenta un modo innovativo e alternativo per effettuare un’esperienza di consumo all’insegna della condivisione, del racconto e della scoperta dell’altro.
Ma dove si svolge il social eating, in cosa consiste e chi sono i soggetti coinvolti?
Iniziamo subito dal “dove”. Il social eating, un pranzo o una cena, è generalmente consumato a casa di chi organizza l’evento. E chi è costui? Può trattarsi dello studente fuori sede che si porta appresso il ricettario della nonna, dell’impiegato bancario col pallino della cucina vegan o della casalinga stanca di preparare le lasagne solo per la sua famiglia.
A prescindere dall’estrazione del padrone di casa, dalla sua professione, orientamento sessuale o religioso, alla base del social eating c’è sempre la voglia di aprirsi a persone che non si conoscono, mettere a disposizione la propria sala da pranzo o il proprio giardino per un paio d’ore e trascorrere momenti conviviali in allegria.
Ma chi saranno mai questi curiosi personaggi che se ne vanno in giro per le case di perfetti sconosciuti ad assaggiare piatti, fare quattro chiacchiere e magari instaurare nuove relazioni? Potenzialmente tutti noi, si noi, io e te, lui, lei e l’altro 😀
Non ci sono barriere all’entrata, solo il desiderio di vivere un’esperienza nuova e partecipativa.
Spesso si tratta di cene a tema. A me non dispiacerebbe, per esempio, prendere parte a un social eating ispirato al medioevo, ai vampiri oppure all’insegna del food porn.

social eating
Ma dove si incontrano domanda e offerta, l’ospite e il padrone di casa? Qui entra in gioco la tecnologia. Serve una piattaforma informatica, un canale social che metta in connessione i vari soggetti e attraverso la quale si possa anche pagare anticipatamente il conto del pranzo e della cena.
Ecco un altro vantaggio del social eating: è trasparente, sai da subito quanto vai a spendere, effettui la transazione online, conosci anticipatamente il menù e il tema e hai anche la possibilità di capire chi troverai ad accoglierti, tramite descrizioni ed eventuali recensioni.
Quanto vale il social eating?
Premesso che il social eating non è semplicemente mangiare ma molto di più (è infatti relazioni, convivialità, scambio di esperienze, ascolto di storie, ecc.), secondo un’indagine condotta da Confesercenti e ripresa da Repubblica il settore, nel solo 2014, ha registrato un fatturato di 7,2 milioni di euro (mica pizza e fichi, per rimanere in tema di cibo). Nello stesso anno sono stati circa 7.000 i cuochi social che hanno organizzato 37.000 eventi per rispondere a una domanda di 300.000 social-ospiti. Sono numerosi i portali web che oggi permettono lo svolgimento del social eating, da Gnammo, che di recente ha anche varato un codice etico, a Eatwith.com, Vizeat.com fino a Kitchenparty.org.

social eating
Il social eating in Sardegna: Nughedu welcome
Il fenomeno del social eating pare stia attecchendo maggiormente nelle regioni del centro-nord Italia e meno al sud e nelle isole. Tuttavia non mancano le buone pratiche che meritano di essere raccontate, come quella sarda di Nughedu Santa Vittoria, in provincia di Oristano.
Nel centro Sardegna, infatti, un piccolo paese di neanche 500 abitanti, di quelli che si teme possano scomparire da qui ai prossimi decenni, immerso in contesto paesaggistico da favola, ha dato vita a un interessante esperimento di social eating, tanto che si è guadagnato la nomea di primo borgo social eating di Italia.E se lo dice anche il Gambero Rosso ci sarà un perchè 😉
Si chiama Nughedu welcome e il progetto, già dal nome, tradisce la sua natura ospitale.
I suoi ambasciatori, nel sito internet, si presentano così:
Siamo i custodi della nostra biodiversità: difendiamo la qualità delle nostre produzioni dalla massificazione e dall’omologazione. Siamo guardiani di istanti antichi che rivivono ogni giorno nei nostri gesti e nella docile sapienza dei nostri riti produttivi.
Nel nostro piccolo ci sentiamo degli eroi: combattiamo ogni giorno contro lo spopolamento e crediamo fortemente nell’innovazione e nella possibilità di creare nuove opportunità. Lo facciamo attraverso la magia di questo territorio, che regala frutti rari, dal sapore sconosciuto e irripetibile.
Siamo parte di storie antiche: Nughedu Welcome è il nostro modo per condividerle e per dirti che anche tu sei il benvenuto nella nostra comunità.

Nughedu welcome
Io li ho conosciuti di persona e ho gustato i loro piatti squisiti e genuini, dai dolci della colazione, agli gnocchetti cucinati nel brodo di pecora e conditi col formaggio e lo zafferano, dal pane fatto in casa a buonissime fritelline di zucchine e cipolle 😛
Ragà, #solocosebuone fidatevi!!!
Che cosa mi ha colpito di più? Tutto.
L’ospitalità è sicuramente il loro punto di forza. Hanno la capacità di farti sentire veramente a casa, a tuo agio. Non fanno nulla di straordinario o di stratosferico, non vogliono stupirti con effetti speciali. Sono semplicemente loro stessi, con i loro racconti, le loro storie, la loro vita.
Penso che questo sia il loro valore aggiunto, la ricchezza inimitabile e l’elemento che li caratterizza. Non c’è ostentazione o banale folklorizzazione ma semplicemente quotidianità, relazioni umane, tradizioni, saperi e saper fare che si trasmettono nel tempo.
Sembra poco e invece è tanto, tantissimo! Specie di questi tempi post-tutto!
Mentre li ascolto e li osservo mi vengono in mente i versi di E. E. Cummings
Essere nient’altro che se stessi in un mondo che fa di tutto, giorno e notte, per farti diventare qualcun altro, vuol dire combattere la battaglia più difficile che un essere umano possa affrontare. Senza smettere mai di lottare.
Ecco, loro sono speciali perché non fingono di essere qualcun altro ma hanno il coraggio di offrirsi al prossimo, senza sovrastrutture.
Tuttavia non dovete confondere questa semplicità con l’improvvisazione! No, no. Niente affatto. Sono preparati ed efficienti. La passione che mettono nel preparare le pietanze, rigorosamente realizzate con ingredienti del territorio e a kilometro zero, e la cura con cui apparecchiano la tavola, con posate vere e tovaglie in stoffa (no plasticaglia o carta usa e getta) e con cui coccolano l’ospite, beh non si può descrivere. Questi sono intangible assets!
Non vi resta che sperimentare. Come? Entrate sulla piattaforma Gnammo, cercateli e chiedegli di poter andare a cena a casa loro. Sono sicuro che vi stanno aspettando e sono altrettanto certo che non vi deluderanno.
Intanto vi lascio con questo loro video. Al prossimo jump 🙂